Esofago di Barrett

L’ esofago di Barrett , che può presentarsi dopo un’esofagite di lunga durata, la stenosi, che può insorgere dopo un’infiammazione acuta, per esempio da ingestione di sostanze caustiche, e l’acalasia esofagea, sono considerate lesioni precancerose.

La fisiopatologia insegna che un’infiammazione cronica porta ad una progressiva trasformazione tissutale, fino allo sviluppo di cellule tumorali. Così l’esofagite cronica  e quindi l’infiammazione di lunga durata, in questo caso, della mucosa esofagea, porta, lentamente, alla trasformazione di questa in mucosa di tipo intestinale (metaplasia intestinale o morbo di Barrett).

Da quando è in uso l’ Endoscopia Digestiva , con possibilità di frequenti controlli dell’ esofagite da reflusso , sia alla visione diretta endoscopica , che all’esame istologico, si è visto che questa progressione, in senso neoplastico, è lenta ed è stata modificata in difetto dalla possibilità di controllare la malattia. Il passo successivo, dalla metaplasia del Barrett verso il cancro, è la presenza di displasia cellulare, un’atipia che, dal basso grado, può evolvere all’alto grado, poi al cancro in situ e infine al cancro invasivo.

Esofago infiammato - Esofago di Barrett

La malattia di Barrett si riscontra fino al 25% dei pazienti con esofagite da reflusso  ed anche in pazienti asintomatici, al di sopra dei 50 anni. Essa aumenta di 200 volte il rischio di una trasformazione neoplastica verso l’adenocarcinoma, se non c’è displasia, di 560 volte, se la displasia è di basso grado, e di 2.220 volte, se di alto grado. Recenti studi hanno rivalutato al ribasso la percentuale di rischio, probabilmente in considerazione della maggiore frequenza con la quale i pazienti, portatori di malattia da reflusso gastro-esofageo , si sottopongono a controlli clinici, strumentali ed istologici ed alla terapia. 

Quest’ultima deve mirare a mantenere il Paziente libero dai sintomi, agendo sia sull’eccessiva produzione di acido a livello gastrico, somministrando PPI, sia sul potere di lesività mucosale della bile, che, soprattutto, sulla dismotilità, che è alla base fisiopatogenetica del reflusso gastro-esofageo. Un ruolo importante gioca la dieta, intesa sia come comportamento alimentare, che come abitudini di vita. 

 

Esofago di Barrett
Cancro su Barrett

Sintomi

I sintomi, nei pazienti portatori di esofago di Barrett , sono quelli legati all’infiammazione dell’ esofago  ed ai reflussi gastro-esofagei. I più frequenti sono il bruciore ed il dolore retro-sternale, che spesso si irradiano posteriormente verso le scapole ed arrivano alla base del collo, fino alla lingua ed alla bocca. Molto spesso sono presenti tosse, raucedine, bocca amara ed alitosi. 

Regione faringo-tracheale sede di flogosi da reflusso gastrico.

I rigurgiti sono la manifestazione più eclatante, fino ad avere presenza di materiale refluito in bocca o trovarlo al mattino sul cuscino. Talora sono presenti disfagia ed odinofagia, cioè difficoltà e dolore alla deglutizione. Altri sintomi frequenti sono la sinusite, la rinite, l’otite, la cefalea.

 

Diagnosi

La diagnosi dell’ esofago di Barrett  è endoscopica ed istologica e prevede che lo Specialista Gastroenterologo  provveda all’esecuzione della Gastroscopia. L’esame radiologico (esofagoframma) può servire a valutare un’eventuale stenosi del lume, una compressione ab estrinseco o la presenza di diverticoli, ma non ci dice nulla circa la presenza di un’infiammazione della mucosa o della sua trasformazione carcinomatosa. Il Gastroenterologo Endoscopista  deve effettuare la gastroscopia  e la biopsia della mucosa per l’esame istologico. Nel caso sia presente una stenosi, egli provvederà al brushing per esame citologico.

L’effettuazione della manometria esofagea e della pH-Impedenzo-metria, che studiano la motilità dell’ esofago , il valore pressorio degli sfinteri e documentano i reflussi acidi, misti e gassosi, potrà essere indicata per la gestione della malattia da reflusso gastroesofageo.
L’ esofago di Barrett  può essere sospettato alla visione endoscopica , ma l’esame istologico è importante per la conferma e per la documentazione di un’associata displasia.

Tecniche diagnostiche endoscopiche di magnificazione e colorazione.

In questi ultimi anni l’endoscopia ha fatto passi da giganti nel riuscire a diagnosticare e a curare l’ esofago di Barrett. Gli attuali endoscopi ad alta definizione, dotati anche del sistema di colorazione elettronica NBI, consentono di delimitare la mucosa metaplasica di Barrett e il cancro in fase iniziale. Ma è sempre ancora necessaria la conferma istologica. Applicando la classificazione di Parigi per le lesioni piane o poco rilevate, il tumore è identificabile quando il grado d’invasione mucoso è iniziale ed esso è suscettibile di asportazione con le moderne tecniche endoscopiche di mucosectomia, di dissezione sottomucosa e di ablazione con radiofrequenza ( metodo Stretta ).

La maggior parte delle lesioni nell’ esofago di Barrett  sono di tipo II (Classificazione di Parigi). Una lesione esofagea può anche possedere le caratteristiche di due sotto-tipi differenti, ad esempio IIa + IIc (molto comune nell’esofago di Barrett) o IIa + IIb. L’importanza clinica è la correlazione della classificazione endoscopica con la profondità d’infiltrazione, la quale predice il rischio di metastasi linfonodale.

Ciò è molto importante per decidere il tipo di terapia, endoscopica o chirurgica. Le lesioni di tipo III non sono trattabili tramite resezione endoscopica, in quanto indicano la presenza di invasione sottomucosa profonda. Le lesioni di tipo I e IIc comportano un rischio maggiore d’invasione sottomucosa, rispetto alle lesioni IIa, IIb o di tipo misto. In queste lesioni, la valutazione istologica del campione, ottenuto tramite resezione endoscopica, stabilirà la profondità dell’invasione ed a ciò seguiranno gli opportuni provvedimenti terapeutici.

Classificazione endoscopica delle lesioni superficiali gastrointestinali, secondo la classificazione di Parigi

In realtà, solo in Giappone, il Barrett  è diagnosticato quando la mucosa colonnare rosa salmone, diversa dalla normale mucosa esofagea, squamosa e di colore bianco, è identificata endoscopicamente, nella parte distale dell’esofago e senza conferma istologica.

Negli Stati Uniti d’America, nel Nord e nel Sud dell’America ed in tutta Europa le principali Società scientifiche hanno stabilito che, per diagnosticare l’ esofago di Barrett , è necessaria sia l’evidenza endoscopica, che la conferma istologica.

La classificazione istologica dell’eventuale displasia, presente nell’ esofago di Barrett , rappresenta la stima del rischio di cancro esofageo. Relativamente a questo parametro essenziale, il referto istologico sarà così formulato:

  • “negativo per displasia” (NEG);
  • “indefinito per displasia” (IND);
  • “positivo per displasia di basso grado” (LGD – Low Grade Dysplasia);
  • “positivo per displasia di alto grado” (HGD – High Grade Dysplasia);
  • “carcinoma intramucoso” (IMC);
  • “adenocarcinoma invasivo”, che implica l’infiltrazione del tumore all’interno degli strati più profondi della parete intestinale.

I pazienti con sintomi da malattia da reflusso cronica sono sottoposti a screening endoscopico per l’eventuale rilevamento della malattia di Barrett. Se, nella zona distale dell’esofago, è visibile epitelio di tipo colonnare, sono eseguite biopsie. Se queste biopsie rilevano il Barrett, il paziente viene controllato con maggiore frequenza.

L’obiettivo principale della sorveglianza consiste nella rilevazione e nel trattamento della neoplasia precoce. I pazienti con lesioni precoci (neoplasia intraepiteliale o cancro intramucoso) possono essere trattati con terapie endoscopiche. Ciò non è possibile in caso di adenocarcinoma esofageo avanzato, che ha una prognosi infausta. Il trattamento endoscopico della neoplasia precoce è considerato oggi equivalente, se non superiore, alla chirurgia tradizionale. Con il sempre maggiore utilizzo della resezione endoscopica, la precisa localizzazione delle lesioni neoplastiche, all’interno del segmento di Barrett, è ovviamente di fondamentale importanza.

Non posso esimermi dal menzionare, in questa sede, i vecchi ed i nuovi metodi endoscopici per indagare la metaplasia e la displasia mucosa, in particolare nell’esofago, del quale ci stiamo occupando.

In sintesi, le metodiche sono di due tipi: la colorazione e la magnificazione dell’immagine.

Zoom endoscopi ad alta risoluzione

I moderni endoscopi sono ad alta risoluzione e provvisti della magnificazione, caratteristiche di grande aiuto per una visione dettagliata dei più piccoli particolari. Nell’ultimo decennio gli endoscopi elettronici (videoendoscopi) hanno migliorato la qualità delle immagini, grazie all’impiego di più sofisticati CCD (Charge-Coupled Device), che, dagli iniziali 100K-300K pixel, contengono attualmente 400k e, in taluni casi, 800k pixel. I videondoscopi di ultima generazione, perciò, offrono un’elevatissima risoluzione e sono chiamati “endoscopi ad alta risoluzione”.

La caratteristica di questi endoscopi è la presenza di un gruppo di lenti, collocato davanti

al CCD, che offre la possibilità di ingrandire l’immagine, per mezzo di un levetta, posizionata nell’impugnatura dello strumento, fino a 100x (nei gastroscopi) e 140x (nei colonscopi). Questi endoscopi sono quindi sia ad alta risoluzione che ad elevata magnificazione e sono chiamati correntemente anche endoscopi zoom.

La magnificazione di un’immagine ne riduce la risoluzione e, pertanto, la magnificazione deve essere applicata ad un endoscopio ad alta risoluzione. Se così non fosse, l’impiego di una manipolazione elettronica dell’immagine (magnificazione elettronica), comporterebbe la perdita di qualità, a causa del minor numero di pixel che potrebbero essere impiegati, in quanto ridotti dopo la magnificazione.

Colonna endoscopica ad alta risoluzione

Cromoendoscopia

La colorazione chimica si definisce cromo-endoscopia.

I coloranti utilizzati nella cromoendoscopia sono di tre classi: i coloranti vitali, i coloranti di contrasto e i coloranti reattivi.

I coloranti vitali vengono assorbiti dall’epitelio e in alcuni casi potrebbero risultare tossici per l’organismo; esempi di questa categoria sono la soluzione di Lugol, il blu di metilene, il blu di toluidina e il cristal violetto.

I coloranti di contrasto, come l’indaco carminio, non sono assorbiti dalle cellule, si diffondono sulla superficie mucosa, concentrandosi nelle sue pliche, evidenziando le caratteristiche architetturali dell’epitelio di superficie.

Nemmeno i coloranti reattivi sono assorbiti dall’epitelio; essi si diffondono sulla superficie mucosa, dove degradano le proteine cellulari, come nel caso dell’acido acetico, o subiscono cambiamenti di colore, per la conversione acido-base (come il rosso Congo e il rosso fenolo).

Molti di questi agenti necessitano di un pretrattamento della superficie mucosa con una sostanza mucolitica, aggiungendo in questo modo un altro fattore di tempo e di costo.

La cromoendoscopia è stata largamente utilizzata soprattutto per la caratterizzazione della metaplasia intestinale e la rilevazione della displasia nell’ esofago di Barrett. Sebbene siano stati studiati molti agenti di colorazione, tre in particolare hanno dimostrato discreti successi: l’ acido acetico, l’ indaco carminio e il blu di metilene.

Dopo la colorazione con uno di questi agenti, risultano evidenti diversi pattern mucosi. Sono stati effettuati studi, per classificare questi pattern, e determinare quelli da associare alla presenza di metaplasia intestinale, displasia o carcinoma precoce.

Magnificazione endoscopica associata a “colorazione” con acido acetico: Enhanced Magnification Endoscopy

La mucosa dell’ esofago di Barrett  è spesso traslucida, quando osservata tramite magnificazione endoscopica, permettendo la sola identificazione della struttura superficiale dei capillari; la superficie della mucosa si vede meno bene. Per migliorarne la visualizzazione, sono state analizzate varie tecniche, in combinazione con la magnificazione endoscopica, inclusa la cromoendoscopia con acido acetico.

L’utilizzo combinato di queste due tecniche (magnificazione + acido acetico) prende il nome di Enhanced Magnification Endoscopy (EME). L’acido acetico è un acido debole (pH 2,5) utilizzato per applicazioni in vivo. Esso produce una denaturazione reversibile e di breve durata delle proteine intracellulari del citoplasma.

Magnificazione endoscopica

Sono stati effettuati numerosi studi, che hanno portato a classificare le caratteristiche morfologiche della superficie mucosa in 5 tipi:

  • tipo I: piccole cavità circolari di forma e dimensioni uniformi;
  • tipo II: cavità a fessura;
  • tipo III: strutture cerebriformi e villiformi;
  • tipo IV: strutture di dimensioni e disposizioni irregolari;
  • tipo V: pattern distruttivo.

I pattern di tipo I, II e III non sono stati associati istologicamente a nessun caso di cancro, mentre è stato rilevato cancro precoce nel 40% dei campioni bioptici con pattern di tipo IV e nel 37,5% di quelli con pattern di tipo V.

Tutti gli studi fatti non sono comparabili, in quanto evidenziano diversi modelli di classificazione della mucosa e sono stati effettuati su diverse popolazioni di pazienti. L’acido acetico sembra migliorare la visualizzazione della microstruttura della mucosa dell’esofago di Barrett, ma non è stata confermata alcuna classificazione ufficiale ed esistono pochi dati che supportino la sua effettiva utilità per la rilevazione di displasia o neoplasia precoce.

Cromoendoscopia con indaco carminio

L’indaco carminio è un colorante di contrasto blu, che non viene assorbito dalle cellule epiteliali, ma evidenzia la microstruttura della mucosa, disegnando gli spazi tra le creste mucose. Ciò consente la visualizzazione delle irregolarità ed evidenzia lesioni difficilmente visibili. La cromoendoscopia deve essere utilizzata in combinazione con la magnificazione endoscopica, per ispezionare i dettagli della superficie mucosa.

Questo colorante è stato utilizzato per la ricerca dei carcinomi gastrici in fase iniziale (Early Gastric Cancer), per l’individuazione degli adenomi piatti nel colon  e la determinazione del loro pit pattern.

Eseguire una cromoendoscopia con indaco carminio, unita a magnificazione endoscopia, è una procedura molto laboriosa, specialmente in viscere esteso, come l’ esofago. Dopo l’applicazione del colorante, l’intero segmento di Barrett deve essere ispezionato con la maggiore magnificazione disponibile, con il rischio di trascurare certe zone. I risultati sono stati variabili e, in molti casi, operatore-dipendenti. Necessitano cateteri spray per applicare il colorante e c’è il rischio di distorsione delle immagini, dovuta a una distribuzione non uniforme del colorante. Tutte queste limitazioni hanno ridotto l’impiego di questa tecnica, che non si è dimostrata in grado di migliorare la sensibilità generale. Secondo l’opinione della maggior parte dei Ricercatori, questa tecnica può risultare utile per un’ispezione dettagliata delle aree sospette precedentemente individuate, ma non soddisfa l’esigenza della rilevazione primaria.

Cromoendoscopia con blu di metilene

Il blu di metilene è un colorante vitale che viene assorbito dalle cellule epiteliali dell’ intestino tenue  e del colon. Perciò la mucosa metaplasica intestinale del Barrett viene messa in risalto da questo colorante, mentre l’epitelio gastrico e quello squamoso esofageo rimangono senza colorazione. Queste caratteristiche sono utili per individuare la metaplasia intestinale nell’epitelio colonnare, la cui presenza può indicare sindrome di Barrett. I tessuti displastici e cancerosi mostrano una colorazione minore o assente. In questo modo, le aree non colorate, circondate da aree blu, possono essere oggetto di biopsie mirate.

Carcinoma di un Esofago di Barrett
Cromoendoscopia con blu di metilene

La cromoendoscopia con blu di metilene ha dimostrato in alcuni casi di migliorare l’identificazione della displasia nell’ esofago di Barrett. Molti Ricercatori, tuttavia, considerano questa tecnica poco efficace, molto laboriosa e dipendente dall’operatore. Come per le altre forme di cromoendoscopia, anche le varie classificazioni dei pattern della mucosa, ottenute con il blu di metilene, sono state difficili da riprodurre e non sono mai state associate a precise caratteristiche istologiche.

Si può affermare che i promettenti risultati iniziali, riguardo l’utilizzo della cromoendoscopia con blu di metilene, non furono mai successivamente confermati. La conclusione di una recente meta-analisi è stata che l’utilizzo della cromoendoscopia con blu di metilene, abbinata a biopsie mirate, era praticamente equivalente a quello dell’endoscopia standard, abbinata a biopsie random, riguardo alla rilevazione di metaplasia intestinale o displasia, in pazienti con sospetta o confermata sindrome di Barrett. Inoltre, la cromoendoscopia con blu di metilene è una procedura operatore-dipendente, che richiede l’applicazione di N-acetilcisteina, seguita dall’applicazione di blu di metilene, che a sua volta dovrebbe essere seguita da un ampio risciacquo con acqua, per rimuovere il colorante in eccesso. Infine, non è da trascurare la variabilità interosservatore.

In conclusione, i deludenti risultati nella rilevazione della neoplasia precoce, la laboriosità delle procedure di applicazione del colorante e la loro dipendenza dall’operatore, rendono questa tecnica inadatta ad una sorveglianza costante dell’ esofago di Barrett. Inoltre, è probabile che il blu di metilene, in combinazione con l’illuminazione a luce bianca dell’endoscopio, possa causare danni genetici alle cellule della mucosa di Barrett.

Narrow Band Imaging (NBI)

Parlando di cromoendoscopia, la novità è la Narrow Band Imaging (NBI), una tecnica innovativa, che utilizza filtri ottici, per visualizzare in dettaglio la morfologia della mucosa, senza ricorrere all’applicazione di coloranti chimici. Questa tecnica è basata sul fenomeno ottico, secondo il quale la profondità di penetrazione della luce dipende dalla sua lunghezza d’onda; maggiore è la lunghezza d’onda, più profonda sarà la penetrazione. Considerando lo spettro di luce visibile, la luce blu penetra solo a livello superficiale, mentre la luce rossa penetra fino a livelli più profondi. La caratteristica della NBI è che non sono necessari strumenti o sostanze addizionali; basta semplicemente premere un pulsante sull’endoscopio. Tutti gli endoscopi NBI sono ad alta risoluzione.

La NBI utilizza filtri ottici RGB (red-green-blue) incorporati nel sistema endoscopico, che eliminano la componente rossa della luce e riducono quella verde, mentre preservano l’illuminazione del tessuto da parte della componente blu. Il miglioramento nella visualizzazione dei pattern mucosi avviene grazie all’elevata intensità della luce blu, la quale rivela dettagliatamente le strutture superficiali, grazie alla sua bassa profondità di penetrazione nel tessuto. L’assorbimento della luce blu, da parte dell’emoglobina, permette una dettagliata ispezione anche della microvascolarizzazione superficiale della mucosa.

Fotografie endoscopiche magnificate (x115)

La tecnologia NBI è stata approvata e dichiarata in regola, è disponibile in commercio e rappresenta una delle tecniche avanzate di acquisizione d’immagini endoscopiche più studiate, relativamente alla rilevazione di displasia o carcinoma superficiale nell’ esofago di Barrett.

Fotografie endoscopiche magnificate (x115) ad alta risoluzione

Molti studi dimostrano l’importanza dell’endoscopia ad alta risoluzione, in combinazione con la tecnologia NBI, nella sorveglianza endoscopica in pazienti con esofago di Barrett. Inoltre, la NBI rappresenta il metodo di “ cromoendoscopia virtuale” più rigorosamente studiato ed i Ricercatori ne consigliano l’utilizzo, per migliorare l’accuratezza e l’efficacia della rilevazione della displasia in pazienti con esofago di Barrett.

La NBI presenta una serie di vantaggi rispetto alla cromoendoscopia chimica:

  1. non sono necessari agenti di colorazione;
  2. è di facile utilizzo, poiché funziona con filtri ottici incorporati nella sorgente luminosa che vengono abilitati per mezzo di un semplice.

Autofluorescence Imaging (AFI)

L’autofluorescenza dei tessuti si verifica quando essi sono esposti a una luce di limitata

lunghezza d’onda (solitamente radiazioni ultraviolette o luce blu, un po’ come quelle dei night club) e certe sostanze biologiche endogene (fluorofori) vengono eccitate, provocando l’emissione di luce fluorescente, con maggiore lunghezza d’onda da parte del tessuto. Le molecole, che causano l’autofluorescenza dei tessuti, includono il collagene, l’elastina, gli amminoacidi aromatici e le porfirine.

Immagini ottenute con Autofluorescence Imaging (AFI)

La tecnologia AFI deve essere incorporata in sistemi endoscopici dedicati ed è gravata da un eccesso di falsi positivi, che rende necessaria un’ulteriore indagine con NBI, al fine di aumentarne la specificità.

Autofluorescence Imaging (AFI)

Le iniziali aspettative positive sull’autofluorescenza sono andate scemando, a causa della necessità di dover correggere, con il sistema NBI, l’eccesso di falsi positivi e per il costo elevato degli apparecchi dedicati, che ne ha scoraggiato l’utilizzo.

Endomicroscopia Confocale Laser (CLE).

I recenti sviluppi tecnologici nei metodi di acquisizione d’immagini endoscopiche del tratto gastrointestinale includono anche quelle tecniche, che potrebbero permettere la visualizzazione, in tempo reale, di immagini microscopiche (fino a pochi micron) in-vivo della mucosa gastrointestinale, fornendo risultati molto simili a quelli ottenuti con gli esami istopatologici. L’endomicroscopia confocale laser (CLE) è una di queste tecniche. Essa deriva dalla microscopia confocale a scansione laser, nella quale l’illuminazione laser focale è combinata con la rilevazione della radiazione fluorescente, riflessa attraverso una minuscola apertura, con i sistemi d’illuminazione e di rilevazione “confocali”, ossia nello stesso piano focale. Il tessuto può essere scansionato a varie profondità, permettendo in tal modo una visione di varie sezioni trasversali.

Il principio di base della CLE consiste nella stimolazione dei tessuti con una luce di eccitazione laser di colore blu (488 nanometri), dopo l’applicazione topica o la somministrazione intravenosa di agenti di contrasto fluorescenti (come l’acriflavina o la fluoresceina), che vengono a contatto con il tessuto interessato. La radiazione riflessa viene catturata e trasmessa attraverso un piccolo forellino; successivamente, viene trasferita, per mezzo di diverse fibre ottiche, ad un’unità di scansione laser, che genera immagini istologiche in bianco e nero delle sezioni trasversali della mucosa.

L’endomicroscopia consente la visualizzazione di dettagli microscopici come ghiandole gastriche, cripte del colon, capillari e singole cellule del tessuto epiteliale e del sangue. Queste immagini microscopiche sono ottenute “di faccia”, sezionando la superficie della mucosa parallelamente verso l’interno, in contrasto con il sezionamento istopatologico standard, nel quale le sezioni sono perpendicolari alla superficie mucosa.

Sono stati sviluppati due sistemi, basati su questa tecnologia: l’endoscopio confocale (eCLE: endoscope-based CLE), l’EC3870CILK della Pentax, e l’ endomicroscopia confocale a sonda (pCLE: probe-based CLE), il sistema Cellvizio della Mauna Kea Technologies. Il primo incorpora il sistema CLE in un sistema endoscopico dedicato, il secondo è basato su una minuscola sonda laser.

Endomicroscopia Confocale Laser (CLE)

Entrambi i sistemi endomicroscopici eCLE e pCLE permettono la visualizzazione dei microscopici pattern cellulari e vascolari, con un potere magnificante superiore a 1000x.

A parte alcune specifiche tecniche, i due sistemi hanno la principale differenza nel fatto che il secondo è compatibile con un normale endoscopio ad alta risoluzione, mentre il primo prevede una colonna video dedicata. Entrambi i sistemi eCLE e pCLE richiedono l’applicazione di fluoresceina intravenosa o agenti di contrasto topici, come l’acriflavina o il violetto cresile, per visualizzare i dettagli architetturali cellulari e vascolari.

Molteplici studi hanno portato alla suddivisione delle caratteristiche endomicroscopiche della mucosa in 5 classi:

  • rivestimento epiteliale irregolare;
  • spessore variabile del rivestimento epiteliale;
  • fusione di ghiandole;
  • presenza di aree scure (minore assorbimento di fluoresceina);

pattern vascolare irregolare.

Immagini endomicroscopiche

Le potenzialità di questa tecnica potrebbero permettere diagnosi istopatologiche in tempo reale e ridurre la necessità di prelevare campioni bioptici dal paziente. Il più grande svantaggio dell’endomicroscopia confocale laser risiede nell’impossibilità di utilizzarla per una visione d’insieme dell’esofago, scansionando l’intero segmento di Barrett. Essa è un sistema microscopico, capace di analizzare aree molto piccole, tipicamente con un diametro minore del millimetro, e pertanto dipende da altre modalità di immagini, necessarie a determinare l’area di interesse. L’acquisizione delle immagini e la loro interpretazione sono impegnative e richiedono particolari competenze. Sono necessari ulteriori studi per chiarire l’utilità clinica, i costi e l’efficacia di un suo utilizzo come strumento decisionale durante l’endoscopia.

In definitiva i costi, la complessità di utilizzo e la durata hanno sconsigliato questa metodica, validamente sostituita dall’esame isto-patologico. Solo in pochi centri e per motivi di ricerca e di raffronto con l’istologia tradizionale, si utilizza la sonda, cioè il sistema pCLE, utilizzabile con un normale strumento endoscopico.

Conclusioni

In questo escursus ho analizzato le più importanti tecniche avanzate di immagini endoscopiche, per la rilevazione di lesioni displastiche e neoplastiche nell’ esofago di Barrett. L’obiettivo primario, nell’utilizzo di queste tecniche, è l’identificazione delle lesioni neoplastiche ad uno stadio precoce e quindi ancora curabile. L’innovazione più importante, a questo proposito, è rappresentata dal significativo aumento della risoluzione delle immagini, avvenuta attraverso lo sviluppo dell’ endoscopia ad alta risoluzione.

Immagini di esofagoscopie ad alta risoluzione

Questa tecnica, abbinata ad un’indagine approfondita dell’esofago, come quella che si ottiene con la colorazione elettronica NBI, rappresenta lo strumento di base per il raggiungimento di questo obiettivo. Per quanto riguarda l’identificazione del carcinoma esofageo, la tecnica che generalmente meglio assolve a questo scopo è la NBI.

L’utilizzo delle innovative tecniche endoscopiche descritte ha due diversi obbiettivi: (1) l’individuazione primaria delle lesioni e (2) l’ispezione mirata e dettagliata di queste lesioni, dopo la loro individuazione primaria.

Per l’individuazione primaria di lesioni neoplastiche precoci nell’ esofago di Barrett , fino ad ora, nessun tipo di cromoendoscopia ha mantenuto la sua promessa di migliorare l’individuazione di neoplasia precoce, molto probabilmente a causa della forte dipendenza dall’operatore di queste tecniche.

Dopo l’individuazione primaria, segue l’ispezione dettagliata delle lesioni sospette, al fine di migliorare l’accuratezza e prendere direttamente decisioni durante l’esame endoscopico. A questo riguardo, la tecnica della CLE sembra promettere bene, ma la sua reale utilità clinica dovrà essere ulteriormente analizzata, considerando i costi, la complessità della procedura, la soggettività interpretativa ed il fatto che è facilmente sostituibile dal prelievo bioptico.

I futuri sistemi d’immagini endoscopiche probabilmente integreranno, in uno stesso sistema, più modalità, sia per l’individuazione primaria delle lesioni, che per l’ispezione più dettagliata di queste lesioni.

Classificazione del Barrett

Alla luce di quanto appena detto, si deduce che la diagnosi di Esofago di Barrett  è istologica e non endoscopica, per cui l’Endoscopista può solo parlare di “sospetto Barrett” (ESEM – Endoscopically Suspected Esophageal Metaplasia).

Identificare il “sospetto Barrett” è molto importante e il Gastroenterologo deve procedere alla descrizione morfologica, adottando criteri internazionali, come la Classificazione di Praga e procedere al campionamento bioptico per la definizione istologica.

Esofago di Barrett: classificazione di Praga

La Classificazione di Praga descrive la topografia e la dislocazione della mucosa “vellutata”, suggestiva per metaplasia, in esofago, indicando, in centimetri dalla giunzione esofago-gastrica, il margine superiore del tratto “circonferenziale” (“C”) e il margine superiore dell’estensione a “fiamma” della mucosa di tipo metaplastico (“M”).

Bisogna ottenere la conferma istologica, effettuando biopsie multiple secondo il protocollo di Seattle, con prelievi sui vari quadranti e sui vari livelli di estensione dell’epitelio sospetto.

Misurazione del Barrett secondo la classificazione di Praga

Le biopsie devono tenere conto anche dei differenti aspetti con cui si può presentare la mucosa “sospetta” Barrett:

  1. mucosa vellutata a “fiamma”;
  2. “isole” di mucosa vellutata;
  3. mucosa vellutata “circonferenziale”;
  4. mucosa vellutata “circonferenziale” associata a “fiamme” e a “isole”.

Bisogna bioptizzare le zone d’irregolarità mucosa, nodulari e ulcerate.

Le biopsie multiple devono essere mirate in zone di displasia o sospetta neoplasia, con l’aiuto di quelle metodiche complementari di cui ho appena detto.

Terapia

La terapia dell’ esofagite da reflusso  con presenza di Barrett  è la medesima di quella dove il Barrett non sia presente. Ancor più, nell’occorrenza di una documentazione endoscopica  e di un esame istologico con presenza di metaplasia intestinale, la terapia gastroenterologica dovrà mirare ad ottenere l’assenza di sintomatologia nel paziente. I controlli clinici serviranno a questo, nella ragionevole considerazione che, se non ci sono sintomi, non c’è infiammazione. Ciò è vero in discreta percentuale di casi, tuttavia i controlli endoscopici, che sono opportuni nei pazienti portatori della malattia da reflusso, saranno ancora più importanti e più ravvicinati nei pazienti con Barrett.

Se invece è presente displasia al controllo istologico, il monitoraggio endoscopico sarà più frequente, se questa è di basso grado. La displasia è regredibile, in questa fase, ed è spesso legata all’infiammazione del tessuto. Alcuni centri prevedono la possibilità di un trattamento endoscopico già in questa fase, se ai successivi controlli la displasia di basso grado persiste.

Nel caso di displasia di alto grado, non si potrà adottare una tecnica attendistica e si valuterà la mucosectomia endoscopica , associata a Radio-Frequenza ( metodica Stretta ), la dissezione sottomucosa o la chirurgia tradizionale (esofagectomia).

Radiofrequenza: metodo Stretta
Mucosectomia nel Barrett
Esofago di Barrett

In caso di Barrett circonferenziale, lungo più di 2 cm, viene utilizzato il sistema Stretta  con elettrodi montati su palloncino. Con il gastroscopio si prende la misura e poi si inserisce la sonda con l’elettrodo “a palloncino”. In caso di Barrett isolato, non circonferenziale e lungo meno di 2 cm, si utilizza l’elettrodo a spatola, che viene montato sul gastroscopio.

Elettrodo montato sul gastroscopio

Gli impulsi ad alta frequenza, ma di breve durata (meno di 1 secondo), consentono un trattamento uniforme per profondità, con una necrosi superficiale di 0,5 -1 mm, che comprende la mucosa e la lamina propria, risparmiando la muscularis mucosae.

Scroll to Top