Classificazione endoscopica dei polipi intestinali

Premessa

La regola generale è che ogni lesione resecabile deve essere asportata dal Gastroenterologo Endoscopista. Bioptizzare il polipo  è controindicato, a meno che non si decida subito che l’approccio successivo debba essere chirurgico. In tal caso è anche opportuno marcare la lesione con inchiostro di china, per facilitare il successivo intervento laparoscopico. Ma la biopsia, eseguita per ottenere la tipizzazione istologica, è inutile, se si ritiene di dover successivamente resecare in toto la lesione, ottenendo un esame istologico completo. Può anche essere dannosa, perché la fibrosi successiva all’insulto della pinza bioptica, può rendere più complicata la polipectomia successiva.

L’Endoscopia è il gold standard nella prevenzione dei tumori gastro-intestinali ed è perciò il motivo principale per il quale i Pazienti si sottopongono all’intervento.

I motivi di rinvio della resezione endoscopica possono essere i parametri di coagulazione non idonei, un colon  sporco, una lesione a rischio, perché di dimensioni eccessive o perché molto vascolarizzata.

Le classificazioni endoscopiche di Parigi 2002 e del Pit Pattern, ottenibili con le avanzate tecnologie di alta definizione, magnificazione e colorazione elettronica, permettono all’Endoscopista di prendere una decisione immediata.

Localizzazione e classificazione

Polipi dell’esofago

I polipi acantosici esofagei sono frequentissime e numerose lesioni benigne dell’ esofago , che non hanno alcun rapporto con il Barrett  o con altre condizioni precancerose. Si tratta di piccole rilevatezze biancastre, a forma di noduli o placche, che si riscontrano sulla superficie mucosa e sono costituiti da un accumulo di granuli di glicogeno. Si parla infatti di acantosi glicogenica dell’esofago, una condizione che non ha evoluzione maligna.

Polipi acantosici dell’esofago

Altri tumori  benigni dell’esofago sono, i polipi esofagei, i leiomiomi e i papillomi esofagei.

I polipi esofagei rappresentano circa il 70% delle neoplasie benigne a carico dell’esofago. Quando sono riscontrati, devono essere asportati tramite polipectomia endoscopica ed esaminati istologicamente. Per la maggior parte si tratta di polipi infiammatori, raramente sono adenomatosi.

Polipo iperplastico infiammatorio dell’esofago

L’altra forma benigna di tumore dell’esofago è il leiomioma. Questa è una neoplasia che origina dagli strati muscolari lisci dell’esofago e tende ad accrescersi lentamente; le dimensioni sono comprese tra 1 e 5 cm. La diagnosi di questi tumori può essere fatta a qualsiasi età, ma, nella gran parte dei casi, essi si riscontrano nei soggetti di età compresa fra 30 e 50 anni. Per lo più i soggetti affetti da leiomioma esofageo non accusano alcun sintomo e il tumore viene diagnosticato quando si esegue una gastroscopia per un controllo. Quando il leiomioma è sintomatico, il sintomo principale è rappresentato dalla disfagia, continua o intermittente.

Leiomioma esofageo

I papillomi esofagei rappresentano solo il 2-3% dei tumori esofagei di natura benigna e sono solitamente associati a esofagite cronica. Possono svilupparsi dalla mucosa o dalla sottomucosa e possono degenerare in senso maligno. Come tutti gli altri polipi, devono essere asportati tramite polipectomia, anche perché la loro natura sarà accertata dopo esame istologico.

Papilloma esofageo

Polipi dello stomaco

polipi gastrici  sono escrescenze del tessuto epiteliale, che originano dalla superfice dello stomaco. Essi possono essere sessili o peduncolati. I polipi iperplastici benigni rappresentano la maggioranza dei polipi gastrici (fino al 90%); la parte restante è costituita da adenomi, polipi ghiandolari cistici del fondo e amartomi.

Polipi dello stomaco

I polipi adenomatosi dello stomaco possono evolvere in senso maligno, così come avviene nel duodeno , dove pure la grandissima maggioranza delle lesioni è di natura infiammatoria benigna. I polipi iperplastici e cistici dello stomaco sono costituiti da ghiandole gastriche iperplastiche, allungate, con un abbondante stroma edematoso o da dilatazioni cistiche delle porzioni ghiandolari, ma non presentano alterazioni nella configurazione cellulare originale. Il rischio di una trasformazione maligna di questi polipi è alquanto basso (0.6-4.5%).

I polipi adenomatosi invece sono vere e proprie formazioni neoplastiche, formate da epitelio displasico, che normalmente non è presente nello stomaco. Sono costituiti da cellule con nuclei ipercromatici e allungati, con aumento delle figure mitotiche. Il rischio di una trasformazione maligna raggiunge il 75% e non è sempre dipendente dalle dimensioni, in quanto i carcinomi precoci (early cancers) si sviluppano anche da polipi adenomatosi inferiori a 2,0 cm.

I polipi amartomatosi sono neoformazioni rare nello stomaco, dovute alla proliferazione in eccesso di alcuni componenti muscolari dello strato più interno della parete gastrica, e sono benigne. Quando sono in numero elevato sono espressione di malattie genetiche ereditarie, come la poliposi giovanile di Peuts-Jeghers.

Polipo adenomatoso tumorale dello stomaco

La classificazione endoscopica di Kudo, di cui parlerò a proposito dei polipi del colon , che prevede la magnificazione e la colorazione, non si applica ai piccoli polipi dello stomaco. Una classificazione endoscopica, messa a punto dai Giapponesi, si applica al cancro gastrico precoce  (Early Gastric Cancer), che ha un’incidenza elevata in Oriente.

Per tale motivo i polipi gastrici epiteliali devono essere interamente asportati durante l’ endoscopia  ed esaminati dal Patologo. I polipi gastrici epiteliali con un diametro di 3-5 mm possono essere interamente rimossi con la pinza bioptica, mentre quelli con un diametro superiore a 5,0 mm devono essere resecati con l’ansa a freddo o con quella diatermica ed il tessuto recuperato per l’esame istologico. I polipi più grandi, a larga base d’impianto, vanno asportati chirurgicamente o con le tecniche endoscopiche di mucosectomia o dissezione sottomucosa. I polipi gastrici iperplastici e adenomatosi si formano spesso a seguito dell’evoluzione di una gastrite cronica , con metaplasia intestinale ed atrofia ghiandolare. Per questo motivo è opportuno tenere sotto sorveglianza endoscopica ed istologica le gastriti.

Cancro gastrico precoce (Early Gastric Cancer)

ECG (Early Gastric Cancer) tipo I

Merita qui una breve trattazione il cancro gastrico precoce, classificato dettagliatamente dai Gastroenterologi giapponesi, a causa dell’alta incidenza in quella popolazione. Questo tumore, che allo stadio iniziale è delle dimensioni di un polipo, è suscettibile di trattamento endoscopico con mucosectomia o dissezione sottomucosa. Queste procedure sono routinarie in Oriente, mentre da noi si ricorre con maggiore frequenza alla chirurgia laparoscopica. La Japanese Society for Gastroentrological Endoscopy definisce l’EGC una neoplasia maligna che non oltrepassa in profondità la sottomucosa, indipendentemente dalla presenza o meno di metastasi linfonodali.

L’EGC ha dimensioni variabili da 10 mm a 20 mm, non dà sintomatologia e le metastasi linfonodali sono presenti nel 10% dei casi. L’epidemiologia è in aumento in Giappone fino al 60%, mentre non supera il 20% nei Paesi occidentali. Questo anche per le migliori capacità diagnostiche endoscopiche degli Orientali: screening di massa, cromoendoscopia, magnificazione, videoendoscopia ad infrarossi ed eco-endoscopia più diffuse sul territorio.

La classificazione endoscopica giapponese definisce tre tipi: il tipo I protrudente, molto simile ad un polipo benigno, il tipo II superficiale che ha tre sottotipi: IIa elevato, IIb piano, IIc piano-depresso e III escavato.

Per i tipi I e IIa sarà l’esame istologico a fare diagnosi. Per il tipo IIb la cromoendoscopia rileva chiazze rosse ben demarcate, mentre per i tipi IIc e III la diagnosi sarà istologica dopo prelievo bioptico, in questi casi giustificato per il dubbio diagnostico tra ulcera e cancro.

ECG (Early Gastric Cancer)ECG (Early Gastric Cancer)

L’EGC, per definizione, infiltra solo il terzo superiore della sottomucosa e ciò va verificato con l’Eco-endoscopia, prima di decidere per un trattamento endoscopico o chirurgico.

L’approccio endoscopico prevede la mucosectomia  o la dissezione sottomucosa.

La prima procedura è valida per il tipo I fino a 20 mm di diametro e per il tipi IIa e IIb (superficiale elevato e piano) fino a 10 mm, mentre è controindicata per gli altri tipi ed in presenza di metastasi linfonodali.

Le tecniche della mucosectomia prevedono l’infiltrazione sottomucosa di soluzione idrosalina e successivo taglio, oppure la tecnica con il cappuccio o infine la dissezione con ago-bisturi, con ausilio o meno del cappuccio. Quest’ultima tecnica viene definita dissezione sottomucosa, arriva più in profondità ed è da preferire per polipi di grandi dimensioni, perché permette la resezione unica e completa (en bloc) di tutta la lesione, garantendo una maggiore radicalità.

Recenti studi però hanno evidenziato che i risultati della Resezione Mucosa Endoscopica (EMR), per quanto riguarda la resezione en-bloc, per completezza della resezione e per sopravvivenza a 5 anni dei Pazienti, sono sovrapponibili a quelli della Dissezione Sottomucosa Endoscopica (ESD), in caso di EGC inferiore a10 mm. Perciò nelle lesioni di queste dimensioni (minute gastric cancer) è consigliabile l’EMR.

Ancora, una recente metanalisi su un totale di 3.806 casi comparativi tra ESD e EMR, ha confermato la superiorità della ESD per la resezione en-bloc, la completezza, la radicalità ed il tasso di recidive locali. A favore dell’EMR gioca il minor tasso di emorragia intraprocedurale, di perforazione ed il tempo operativo inferiore. Tuttavia non sono state osservate differenze statisticamente significative per quanto riguarda il rischio totale di sanguinamento e la mortalità globale.

Devo concludere che l’introduzione dell’ESD ha portato ad una significativa riduzione delle resezioni chirurgiche e delle resezioni endoscopiche non definitive. Anche un cancro gastrico precoce (EGC) con potenziali metastasi linfonodali, valutate in base alla stadiazione eco-endoscopica, potrebbe essere trattato con la dissezione endoscopica sottomucosa e successiva linfadenectomia laparoscopica, senza eseguire una gastrectomia; questa combinazione di trattamenti consente la completa resezione endoscopica della neoplasia gastrica e la determinazione istologica dello status linfonodale.

Le principali complicanze della Resezione Endoscopica (sia mucosectomia che dissezione sottomucosa) sono l’emorragia, immediata o tardiva, la perforazione e la stenosi. Quest’ultima è una complicanza rara, che può manifestarsi in caso di dissezione in sede iuxtacardiale o antro-pilorica. Naturalmente, dopo l’intervento endoscopico, è indicato un follow-up endoscopico ed istologico di almeno 5 anni, più assiduo durante il primo anno, con controlli a 3-6-12 mesi.

Polipi del colon

polipi del colon  sono quelli di gran lunga più frequenti nel mondo occidentale e rappresentano l’obbiettivo della prevenzione secondaria del cancro del colon  e del retto.

Essi si distinguono in benigni (che sono quelli infiammatori o iperplastici) e quelli adenomatosi, con vario grado di malignità al loro interno.

Polipo infiammatorio del colonPolipo adenomatoso del colon

Nel workshop multidisciplinare di Parigi del Novembre 2002 si è definita una nuova classificazione delle lesioni polipoidi e non polipoidi del colon , comprendente anche le lesioni neoplastiche superficiali del colon, frequentemente rilevate grazie alla diffusione dello screening del carcinoma del colon-retto.

La lesione neoplastica “superficiale” del colon è quella neoformazione il cui aspetto endoscopico suggerisce una profondità di penetrazione non superiore alla sottomucosa. Tali lesioni, definite di tipo 0, vengono ulteriormente sotto-classificate in lesioni di tipo polipoide (tipo 0-I) e non polipoide (tipo 0-II).

Lesioni superficiali polipoidi (tipo 0-I)

Le lesioni superficiali polipoidi “0-I” si distinguono in peduncolate (0-Ip) e sessili (0-Is):

  • 0-Ip (lesione polipoide peduncolata);
  • 0-Is (lesione polipoide sessile).

Lesioni superficiali non polipoidi (tipo 0-II)

Le lesioni superficiali non polipoidi si distinguono in lievemente rilevate (0-IIa), piatte (0-IIb) e depresse (0-IIc):

  • 0-IIa (lesione non polipoide rilevata);
  • 0-IIb (lesione non polipoide piatta);
  • 0-IIc (lesione non polipoide depressa).

La differenza tra la lesione polipoide sessile (0-Is) e la lesione non polipoide rilevata (0-IIa) è data dall’altezza rispetto al piano mucoso: superiore a 2,5 mm (l’ altezza delle valve chiuse della pinza bioptica ) nel primo caso, inferiore a 2,5 mm nel secondo caso:

  • lesione polipoide 0-Is: alta più di 2,5 mm rispetto al piano mucoso;
  • lesione non polipoide 0-IIa: alta meno di 2,5 mm rispetto al piano mucoso.

Le lesioni non polipoidi possono poi essere di tipo misto, con presenza sia della parte rilevata che della parte depressa rispetto al piano della mucosa. A seconda dell’importanza e della prevalenza delle due componenti, si possono quindi ulteriormente dividere in:

  • Lesioni non polipoidi miste, con componente depressa quantitativamente maggiore di quella rilevata: 0-IIc + IIa;

Lesioni non polipoidi miste con componente rilevata quantitativamente maggiore di quella depressa: 0-IIa + IIc.

Figura schematica della classificazione di Parigi

Esistono infine lesioni di dimensioni superiori a 2 cm, definite con il termine LST (Lateral Spreading Tumor), caratterizzate dalla presenza di innumerevoli piccoli polipi. In base alle loro caratteristiche, tali lesioni si dividono ulteriormente nelle categorie sotto riportate: granulare uniforme , granulare mista  e non granulare .

I polipi superiori a 20 mm rientrano nella categoria dei Lateral Spreading Tumours (LST)
Lateral spreading tumor

L’importanza di questa nuova classificazione endoscopica è quella di permettere una descrizione universale delle lesioni riscontrate nel colon, uniformando il linguaggio dei diversi Centri endoscopici, ma soprattutto di correlare l’aspetto endoscopico con il grado d’infiltrazione neoplastica (grado d’invasione della sottomucosa secondo la classificazione di Parigi).

Si è visto infatti che le lesioni rilevate (0-IIa), quelle più comunemente riscontrate, presentano una bassa percentuale d’infiltrazione oltre la sottomucosa, in quanto non superano la profondità di 1.000 Micron e sono quindi suscettibili di un trattamento endoscopico definitivo. Le lesioni depresse (tipo 0-IIc) presentano spesso un’infiltrazione più profonda, oltre 1.000 Micron, per cui la mucosectomia endoscopica rappresenta un trattamento non definitivo, a causa del rischio di metastasi linfonodali loco-regionali.

Per valutare l’efficacia della mucosectomia endoscopica il parametro di riferimento condiviso è il grado di infiltrazione in profondità della lesione. Tanto più profondamente questa s’infiltra nella sottomucosa, tanto maggiore è il rischio di metastasi linfonodali loco-regionali. Il valore di 1.000 Micron è considerato il limite massimo d’infiltrazione a livello della sottomucosa (corrispondente alla classificazione sm1) per considerare sicura e definitiva la mucosectomia endoscopica.

Infatti, in caso d’infiltrazione sino a sm1, l’incidenza di metastasi linfonodali è trascurabile (fino ad un massimo di 2%), mentre, in caso di infiltrazioni più profonde, l’incidenza è oltre il 15%.

Considerando che la mucosa è costituita da 3 strati, che sono l’epitelio, la lamina propria e la muscolaris mucosae, abbiamo la distinzione della profondità d’infiltrazione “m” che sarà:

  • m1 = la lesione infiltra fino all’epitelio:
  • m2 = la lesione infiltra fino alla lamina propria;
  • m3 = la lesione infiltra fino alla muscolaris mucosae.

Sotto la mucosa abbiamo la sottomucosa, che viene divisa in tre strati:

  • sm1 = primo terzo
  • sm2 = secondo terzo
  • sm3 = terzo ed ultimo terzo.

La profondità di 1.000 mMicron esprime quella profondità che arriva a sm1, quindi la massima consentita per un basso rischio di metastasi linfonodali.

Epitelio + lamina propria + muscolaris mucosae + 1/3 sottomucosa arrivano a 1.000 mMicron.

I polipi più grandi di venti millimetri di diametro, che ho detto definirsi Lateral Spreading Tumor, sono di tipo granulare, non granulare e misto. Gli studi hanno verificato che quelli di tipo granulare infiltrano meno in profondità e possono essere trattati endoscopicamente. Quelli di tipo non granulare, che hanno una superficie più liscia, hanno maggiore tendenza ad approfondirsi nei piani sottostanti.

Schema dell’infiltrazione del polipo negli strati profondi
Lesioni neoplastiche superficiali

La classificazione endoscopica dei polipi di Parigi, appena esposta, considera i parametri della dimensione e del rapporto con la circostante superficie mucosa, dai quali parametri si deduce la profondità della lesione. Sono valutate la grandezza del polipo e la tendenza a svilupparsi in profondità o lateralmente rispetto al piano mucoso circostante.

In Giappone, i Gastroenterologi Endoscopisti hanno messo a punto altre classificazioni, che tengono in considerazione l’aspetto della superficie del polipo. Il Patologo esamina il polipo dopo la sua asportazione e ne descrive l’aspetto macroscopico e microscopico, arrivando in tal modo ad una diagnosi definitiva, che espliciti soprattutto il grado di malignità della lesione asportata. Gli studi dei Gastroenterologi giapponesi, mettendo a raffronto la diagnosi in vivo, cioè durate l’endoscopia, con quella in vitro, cioè dopo il trattamento del Patologo e con visione al microscopio, sono riusciti a validare aspetti morfologici endoscopici, che hanno una buona corrispondenza con la diagnosi isto-patologica, fatta al microscopio.

Per fare questo, un grande aiuto è dato dalle affinate caratteristiche tecniche degli endoscopi di ultima generazione, forniti della capacità di magnificazione e di colorazione elettronica. Quest’ultima corrisponde alla colorazione in vivo con coloranti, ma è più pratica e veloce, senza il rischio di artefatti.

Questa classificazione dell’aspetto in vivo si chiama “pit pattern”, che vuol dire letteralmente “forma dei solchi”, cioè disposizione e disegno dei solchi, che si presentano sulla superficie dei polipi.

Classificazione del pit pattern

La classificazione è questa:

  • Pit Pattern Tipo I corrisponde alla mucosa normale.
  • Pit Pattern Tipo II si riferisce ad una mucosa di tipo infiammatorio o iperplastico.
  • Pit Pattern Tipo IIIL è’ tipico degli adenomi protrudenti.
  • Pit Pattern Tipo IIIS ha un aspetto ghiandolare tipico dei tumori di tipo depresso.
  • Pit Pattern Tipo IV corrisponde nella maggior parte dei casi a lesioni neoplastiche.

Pit Pattern Tipo V comprende i cancri sottomucosi e/o avanzati.

Classificazione del pit pattern
Classificazione del pit pattern secondo Kudo e raffronto tra visione schematica, visione endoscopica e visione isto-patologica al microscopio (per concessione di medicitalia.it)

Da quanto detto, valutando le lesioni che incontra, utilizzando sia la classificazione di Parigi che quella del pit pattern di Kudo, il Gastroenterologo Endoscopista  può decidere, seduta stante, se asportare il polipo, con quale tecnica o se bioptizzare e marcare la lesione, inviando successivamente il Paziente all’intervento chirurgico.

Tecniche diagnostiche endoscopiche di magnificazione e colorazione.

In questi ultimi anni l’endoscopia ha fatto passi da giganti nel riuscire a diagnosticare e a curare le lesioni neoplastiche superficiali dell’apparato digerente. Gli attuali endoscopi ad alta definizione, dotati anche del sistema di colorazione elettronica NBI, consentono di delimitare la mucosa metaplasica e il cancro in fase iniziale. Ma è sempre ancora necessaria la conferma istologica. Applicando la classificazione di Parigi per le lesioni piane o poco rilevate, il tumore è identificabile quando il grado d’invasione mucoso è iniziale ed esso è suscettibile di asportazione con le moderne tecniche endoscopiche di mucosectomia, di dissezione sottomucosa e di ablazione con radiofrequenza. La maggior parte delle lesioni neoplastiche superficiali intestinali sono di tipo II (Classificazione di Parigi). Una lesione esofagea può anche possedere le caratteristiche di due sotto-tipi differenti, ad esempio IIa + IIc (molto comune nell’esofago di Barrett) o IIa + IIb. L’importanza clinica è la correlazione della classificazione endoscopica con la profondità d’infiltrazione, la quale predice il rischio di metastasi linfonodale. Ciò è molto importante per decidere il tipo di terapia, endoscopica o chirurgica. Le lesioni di tipo III non sono trattabili tramite resezione endoscopica, in quanto indicano la presenza di invasione sottomucosa profonda. Le lesioni di tipo I e IIc comportano un rischio maggiore d’invasione sottomucosa, rispetto alle lesioni IIa, IIb o di tipo misto. In queste lesioni, la valutazione istologica del campione, ottenuto tramite resezione endoscopica, stabilirà la profondità dell’invasione ed a ciò seguiranno gli opportuni provvedimenti terapeutici.
Classificazione del pit pattern secondo Kudo e raffronto tra visione schematica, visione endoscopica e visione isto-patologica al microscopio (per concessione di medicitalia.it)
In Giappone, le lesioni neoplastiche superficiali dell’intestino sono diagnosticate con una classificazione endoscopica. Negli Stati Uniti d’America, nel Nord e nel Sud dell’America e in tutta Europa le principali Società scientifiche hanno stabilito che, per diagnosticare la neoplasia intestinale, è necessaria sia l’evidenza endoscopica, che la conferma istologica. La classificazione istologica dell’eventuale displasia rappresenta la stima del rischio di cancro. Relativamente a questo parametro essenziale, il referto istologico sarà così formulato:
  • “negativo per displasia” (NEG);
  • “indefinito per displasia” (IND);
  • “positivo per displasia di basso grado” (LGD – Low Grade Dysplasia);
  • “positivo per displasia di alto grado” (HGD – High Grade Dysplasia);
  • “carcinoma intramucoso” (IMC);
  • “adenocarcinoma invasivo”, che implica l’infiltrazione del tumore all’interno degli strati più profondi della parete intestinale.
L’obiettivo principale della sorveglianza endoscopica consiste nella rilevazione e nel trattamento della neoplasia precoce. I pazienti con lesioni precoci (neoplasia intraepiteliale o cancro intramucoso) possono essere trattati con terapie endoscopiche. Ciò non è possibile in caso di adenocarcinoma avanzato, che ha una prognosi infausta. Il trattamento endoscopico della neoplasia precoce è considerato oggi equivalente, se non superiore, alla chirurgia tradizionale. Con il sempre maggiore utilizzo della resezione endoscopica, la precisa diagnostica e localizzazione delle lesioni neoplastiche è ovviamente di fondamentale importanza. Non posso esimermi dal menzionare, in questa sede, i vecchi ed i nuovi metodi endoscopici per indagare la metaplasia e la displasia mucosa. In sintesi, le metodiche sono di due tipi: la colorazione e la magnificazione dell’immagine.

Zoom endoscopi ad alta risoluzione.

I moderni endoscopi sono ad alta risoluzione e provvisti della magnificazione, caratteristiche di grande aiuto per una visione dettagliata dei più piccoli particolari. Nell’ultimo decennio gli endoscopi elettronici (videoendoscopi) hanno migliorato la qualità delle immagini, grazie all’impiego di più sofisticati CCD (Charge-Coupled Device), che, dagli iniziali 100K-300K pixel, contengono attualmente 400k e, in taluni casi, 800k pixel. I videondoscopi di ultima generazione, perciò, offrono un’elevatissima risoluzione e sono chiamati “endoscopi ad alta risoluzione”. La caratteristica di questi endoscopi è la presenza di un gruppo di lenti, collocato davanti al CCD, che offre la possibilità di ingrandire l’immagine, per mezzo di una levetta, posizionata nell’impugnatura dello strumento, fino a 100x (nei gastroscopi) e 140x (nei colonscopi). Questi endoscopi sono quindi sia ad alta risoluzione che ad elevata magnificazione e sono chiamati correntemente anche endoscopi zoom. La magnificazione di un’immagine ne riduce la risoluzione e, pertanto, la magnificazione deve essere applicata ad un endoscopio ad alta risoluzione. Se così non fosse, l’impiego di una manipolazione elettronica dell’immagine (magnificazione elettronica), comporterebbe la perdita di qualità, a causa del minor numero di pixel che potrebbero essere impiegati, in quanto ridotti dopo la magnificazione.
Classificazione del pit pattern secondo Kudo e raffronto tra visione schematica, visione endoscopica e visione isto-patologica al microscopio (per concessione di medicitalia.it)

Cromoendoscopia

La colorazione chimica si definisce cromo-endoscopia. I coloranti utilizzati nella cromoendoscopia sono di tre classi: i coloranti vitalii coloranti di contrasto e i coloranti reattivi. I coloranti vitali vengono assorbiti dall’epitelio e in alcuni casi potrebbero risultare tossici per l’organismo; esempi di questa categoria sono la soluzione di Lugol, il blu di metilene, il blu di toluidina e il cristal violetto. I coloranti di contrasto, come l’indaco carminio, non sono assorbiti dalle cellule, si diffondono sulla superficie mucosa, concentrandosi nelle sue pliche, evidenziando le caratteristiche architetturali dell’epitelio di superficie. Nemmeno i coloranti reattivi sono assorbiti dall’epitelio; essi si diffondono sulla superficie mucosa, dove degradano le proteine cellulari, come nel caso dell’acido acetico, o subiscono cambiamenti di colore, per la conversione acido-base (come il rosso Congo e il rosso fenolo). Molti di questi agenti necessitano di un pretrattamento della superficie mucosa con una sostanza mucolitica, aggiungendo in questo modo un altro fattore di tempo e di costo. La cromoendoscopia è stata largamente utilizzata soprattutto per la caratterizzazione della metaplasia intestinale e la rilevazione della displasia. Sebbene siano stati studiati molti agenti di colorazione, tre in particolare hanno dimostrato discreti successi: l’acido acetico, l‘indaco carminio e il blu di metilene. Dopo la colorazione con uno di questi agenti, risultano evidenti diversi pattern mucosi. Sono stati effettuati studi, per classificare questi pattern, e determinare quelli da associare alla presenza di metaplasia intestinale, displasia o carcinoma precoce.

Magnificazione endoscopica associata a “colorazione” con acido acetico: Enhanced Magnification Endoscopy

La mucosa osservata tramite magnificazione endoscopica permette la sola identificazione della struttura superficiale dei capillari; la superficie della mucosa si vede meno bene. Per migliorarne la visualizzazione, sono state analizzate varie tecniche, in combinazione con la magnificazione endoscopica, inclusa la cromoendoscopia con acido acetico. L’utilizzo combinato di queste due tecniche (magnificazione + acido acetico) prende il nome di Enhanced Magnification Endoscopy (EME). L’acido acetico è un acido debole (pH 2,5) utilizzato per applicazioni in vivo. Esso produce una denaturazione reversibile e di breve durata delle proteine intracellulari del citoplasma. Questa metodica si utilizza nella valutazione mucosale dell’esofago di Barrett. Sono stati effettuati numerosi studi, che hanno portato a classificare le caratteristiche morfologiche della superficie mucosa in 5 tipi:
  • tipo I: piccole cavità circolari di forma e dimensioni uniformi;
  • tipo II: cavità a fessura;
  • tipo III: strutture cerebriformi e villiformi;
  • tipo IV: strutture di dimensioni e disposizioni irregolari;
  • tipo V: pattern distruttivo.
I pattern di tipo I, II e III non sono stati associati istologicamente a nessun caso di cancro, mentre è stato rilevato cancro precoce nel 40% dei campioni bioptici con pattern di tipo IV e nel 37,5% di quelli con pattern di tipo V. Tutti gli studi fatti non sono comparabili, in quanto evidenziano diversi modelli di classificazione della mucosa e sono stati effettuati su diverse popolazioni di pazienti. L’acido acetico sembra migliorare la visualizzazione della microstruttura della mucosa dell’esofago di Barrett, ma non è stata confermata alcuna classificazione ufficiale ed esistono pochi dati che supportino la sua effettiva utilità per la rilevazione di displasia o neoplasia precoce.

Cromoendoscopia con indaco carminio

L’indaco carminio è un colorante di contrasto blu, che non viene assorbito dalle cellule epiteliali, ma evidenzia la microstruttura della mucosa, disegnando gli spazi tra le creste mucose. Ciò consente la visualizzazione delle irregolarità ed evidenzia lesioni difficilmente visibili. La cromoendoscopia deve essere utilizzata in combinazione con la magnificazione endoscopica, per ispezionare i dettagli della superficie mucosa. Questo colorante è stato utilizzato per la ricerca dei carcinomi gastrici in fase iniziale (Early Gastric Cancer), per l’individuazione degli adenomi piatti nel colon e la determinazione del loro pit pattern. Eseguire una cromoendoscopia con indaco carminio, unita a magnificazione endoscopia, è una procedura molto laboriosa, specialmente in viscere esteso. Dopo l’applicazione del colorante, l’intero segmento deve essere ispezionato con la maggiore magnificazione disponibile, con il rischio di trascurare certe zone. I risultati sono stati variabili e, in molti casi, operatore-dipendenti. Necessitano cateteri spray per applicare il colorante e c’è il rischio di distorsione delle immagini, dovuta a una distribuzione non uniforme del colorante. Tutte queste limitazioni hanno ridotto l’impiego di questa tecnica, che non si è dimostrata in grado di migliorare la sensibilità generale. Secondo l’opinione della maggior parte dei Ricercatori, questa tecnica può risultare utile per un’ispezione dettagliata delle aree sospette precedentemente individuate, ma non soddisfa l’esigenza della rilevazione primaria.

Cromoendoscopia con blu di metilene

Il blu di metilene è un colorante vitale che viene assorbito dalle cellule epiteliali dell’ intestino tenue e del colon. La mucosa metaplasica intestinale del Barrett viene messa in risalto da questo colorante, mentre l’epitelio gastrico e quello squamoso esofageo rimangono senza colorazione. Queste caratteristiche sono utili per individuare la metaplasia intestinale nell’epitelio colonnare, la cui presenza può indicare sindrome di Barrett. I tessuti displastici e cancerosi mostrano una colorazione minore o assente. In questo modo, le aree non colorate, circondate da aree blu, possono essere oggetto di biopsie mirate.
Classificazione del pit pattern secondo Kudo e raffronto tra visione schematica, visione endoscopica e visione isto-patologica al microscopio (per concessione di medicitalia.it)Classificazione del pit pattern secondo Kudo e raffronto tra visione schematica, visione endoscopica e visione isto-patologica al microscopio (per concessione di medicitalia.it)
La cromoendoscopia con blu di metilene ha dimostrato, in alcuni casi, di migliorare l’identificazione della displasia nell’ esofago di Barrett. Molti Ricercatori, tuttavia, considerano questa tecnica poco efficace, molto laboriosa e dipendente dall’operatore. Come per le altre forme di cromoendoscopia, anche le varie classificazioni dei pattern della mucosa, ottenute con il blu di metilene, sono state difficili da riprodurre e non sono mai state associate a precise caratteristiche istologiche. Si può affermare che i promettenti risultati iniziali, riguardo l’utilizzo della cromoendoscopia con blu di metilene, non furono mai successivamente confermati. La conclusione di una recente meta-analisi è stata che l’utilizzo della cromoendoscopia con blu di metilene, abbinata a biopsie mirate, era praticamente equivalente a quello dell’endoscopia standard, abbinata a biopsie random, riguardo alla rilevazione di metaplasia intestinale o displasia, in pazienti con sospetta o confermata sindrome di Barrett. Inoltre, la cromoendoscopia con blu di metilene è una procedura operatore-dipendente, che richiede l’applicazione di N-acetilcisteina, seguita dall’applicazione di blu di metilene, che a sua volta dovrebbe essere seguita da un ampio risciacquo con acqua, per rimuovere il colorante in eccesso. Infine, non è da trascurare la variabilità interosservatore. In conclusione, i deludenti risultati nella rilevazione della neoplasia precoce, la laboriosità delle procedure di applicazione del colorante e la loro dipendenza dall’operatore, rendono questa tecnica inadatta ad una sorveglianza costante delle lesioni neoplastiche superficiali del tubo digerente. Inoltre, è probabile che il blu di metilene, in combinazione con l’illuminazione a luce bianca dell’endoscopio, possa causare danni genetici alle cellule della mucosa.

Narrow Band Imaging (NBI)

Parlando di cromoendoscopia, la novità è la Narrow Band Imaging (NBI), una tecnica innovativa, che utilizza filtri ottici, per visualizzare in dettaglio la morfologia della mucosa, senza ricorrere all’applicazione di coloranti chimici. Questa tecnica è basata sul fenomeno ottico, secondo il quale la profondità di penetrazione della luce dipende dalla sua lunghezza d’onda; maggiore è la lunghezza d’onda, più profonda sarà la penetrazione. Considerando lo spettro di luce visibile, la luce blu penetra solo a livello superficiale, mentre la luce rossa penetra fino a livelli più profondi. La caratteristica della NBI è che non sono necessari strumenti o sostanze addizionali; basta semplicemente premere un pulsante sull’endoscopio. Tutti gli endoscopi NBI sono ad alta risoluzione. La NBI utilizza filtri ottici RGB (red-green-blue) incorporati nel sistema endoscopico, che eliminano la componente rossa della luce e riducono quella verde, mentre preservano l’illuminazione del tessuto da parte della componente blu. Il miglioramento nella visualizzazione dei pattern mucosi avviene grazie all’elevata intensità della luce blu, la quale rivela dettagliatamente le strutture superficiali, grazie alla sua bassa profondità di penetrazione nel tessuto. L’assorbimento della luce blu, da parte dell’emoglobina, permette una dettagliata ispezione anche della microvascolarizzazione superficiale della mucosa.
Classificazione del pit pattern secondo Kudo e raffronto tra visione schematica, visione endoscopica e visione isto-patologica al microscopio (per concessione di medicitalia.it)
La tecnologia NBI è stata approvata e dichiarata in regola, è disponibile in commercio e rappresenta una delle tecniche avanzate di acquisizione d’immagini endoscopiche più studiate, relativamente alla rilevazione di displasia o carcinoma superficiale.
Classificazione del pit pattern secondo Kudo e raffronto tra visione schematica, visione endoscopica e visione isto-patologica al microscopio (per concessione di medicitalia.it)
Molti studi dimostrano l’importanza dell’endoscopia ad alta risoluzione, in combinazione con la tecnologia NBI, nella sorveglianza endoscopica in Pazienti in follow-up per la poliposi intestinale e con esofago di Barrett. Inoltre, la NBI rappresenta il metodo di “cromoendoscopia virtuale” più rigorosamente studiato ed i Ricercatori ne consigliano l’utilizzo, per migliorare l’accuratezza e l’efficacia della rilevazione della displasia. La tecnica NBI presenta una serie di vantaggi rispetto alla cromoendoscopia chimica: 1. non sono necessari agenti di colorazione; 2. è di facile utilizzo, poiché funziona con filtri ottici incorporati nella sorgente luminosa che vengono abilitati per mezzo di un semplice.

Autofluorescence Imaging (AFI)

L’autofluorescenza dei tessuti si verifica quando essi sono esposti a una luce di limitata lunghezza d’onda (solitamente radiazioni ultraviolette o luce blu, un po’ come quelle dei night club) e certe sostanze biologiche endogene (fluorofori) vengono eccitate, provocando l’emissione di luce fluorescente, con maggiore lunghezza d’onda da parte del tessuto. Le molecole, che causano l’autofluorescenza dei tessuti, includono il collagene, l’elastina, gli amminoacidi aromatici e le porfirine.
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La tecnologia AFI deve essere incorporata in sistemi endoscopici dedicati ed è gravata da un eccesso di falsi positivi, che rende necessaria un’ulteriore indagine con NBI, al fine di aumentarne la specificità.
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Molti studi dimostrano l’importanza dell’endoscopia ad alta risoluzione, in combinazione con la tecnologia NBI, nella sorveglianza endoscopica in Pazienti in follow-up per la poliposi intestinale e con esofago di Barrett. Inoltre, la NBI rappresenta il metodo di “cromoendoscopia virtuale” più rigorosamente studiato ed i Ricercatori ne consigliano l’utilizzo, per migliorare l’accuratezza e l’efficacia della rilevazione della displasia. La tecnica NBI presenta una serie di vantaggi rispetto alla cromoendoscopia chimica:
  1. non sono necessari agenti di colorazione;
  2. è di facile utilizzo, poiché funziona con filtri ottici incorporati nella sorgente luminosa che vengono abilitati per mezzo di un semplice.
Le iniziali aspettative positive sull’autofluorescenza sono andate scemando, a causa della necessità di dover correggere, con il sistema NBI, l’eccesso di falsi positivi e per il costo elevato degli apparecchi dedicati, che ne ha scoraggiato l’utilizzo.

Endomicroscopia Confocale Laser (CLE).

I recenti sviluppi tecnologici nei metodi di acquisizione d’immagini endoscopiche del tratto gastrointestinale includono anche quelle tecniche, che potrebbero permettere la visualizzazione, in tempo reale, di immagini microscopiche (fino a pochi micron) in-vivo della mucosa gastrointestinale, fornendo risultati molto simili a quelli ottenuti con gli esami istopatologici. L’endomicroscopia confocale laser (CLE) è una di queste tecniche. Essa deriva dalla microscopia confocale a scansione laser, nella quale l’illuminazione laser focale è combinata con la rilevazione della radiazione fluorescente, riflessa attraverso una minuscola apertura, con i sistemi d’illuminazione e di rilevazione “confocali”, ossia nello stesso piano focale. Il tessuto può essere scansionato a varie profondità, permettendo in tal modo una visione di varie sezioni trasversali. Il principio di base della CLE consiste nella stimolazione dei tessuti con una luce di eccitazione laser di colore blu (488 nanometri), dopo l’applicazione topica o la somministrazione intravenosa di agenti di contrasto fluorescenti (come l’acriflavina o la fluoresceina), che vengono a contatto con il tessuto interessato. La radiazione riflessa viene catturata e trasmessa attraverso un piccolo forellino; successivamente, viene trasferita, per mezzo di diverse fibre ottiche, ad un’unità di scansione laser, che genera immagini istologiche in bianco e nero delle sezioni trasversali della mucosa. L’endomicroscopia consente la visualizzazione di dettagli microscopici come ghiandole gastriche, cripte del colon, capillari e singole cellule del tessuto epiteliale e del sangue. Queste immagini microscopiche sono ottenute “di faccia”, sezionando la superficie della mucosa parallelamente verso l’interno, in contrasto con il sezionamento istopatologico standard, nel quale le sezioni sono perpendicolari alla superficie mucosa. Sono stati sviluppati due sistemi, basati su questa tecnologia: l’endoscopio confocale (eCLE: endoscope-based CLE), l’EC3870CILK della Pentax, e l’endomicroscopia confocale a sonda (pCLE: probe-based CLE), il sistema Cellvizio della Mauna Kea Technologies. Il primo incorpora il sistema CLE in un sistema endoscopico dedicato, il secondo è basato su una minuscola sonda laser.
Classificazione del pit pattern secondo Kudo e raffronto tra visione schematica, visione endoscopica e visione isto-patologica al microscopio (per concessione di medicitalia.it)
Entrambi i sistemi endomicroscopici eCLE e pCLE permettono la visualizzazione dei microscopici pattern cellulari e vascolari, con un potere magnificante superiore a 1000x. A parte alcune specifiche tecniche, i due sistemi hanno la principale differenza nel fatto che il secondo è compatibile con un normale endoscopio ad alta risoluzione, mentre il primo prevede una colonna video dedicata. Entrambi i sistemi eCLE e pCLE richiedono l’applicazione di fluoresceina intravenosa o agenti di contrasto topici, come l’acriflavina o il violetto cresile, per visualizzare i dettagli architetturali cellulari e vascolari. Molteplici studi hanno portato alla suddivisione delle caratteristiche endomicroscopiche della mucosa in 5 classi:
  1. rivestimento epiteliale irregolare;
  2. spessore variabile del rivestimento epiteliale;
  3. fusione di ghiandole;
  4. presenza di aree scure (minore assorbimento di fluoresceina);
  5. pattern vascolare irregolare.
Classificazione del pit pattern secondo Kudo e raffronto tra visione schematica, visione endoscopica e visione isto-patologica al microscopio (per concessione di medicitalia.it)
Le potenzialità di questa tecnica potrebbero permettere diagnosi istopatologiche in tempo reale e ridurre la necessità di prelevare campioni bioptici dal paziente. Il più grande svantaggio dell’endomicroscopia confocale laser risiede nell’impossibilità di utilizzarla per una visione d’insieme del viscere esaminato, scansionando l’intero segmento. L’endo-microscopia confocale è un sistema microscopico, capace di analizzare aree molto piccole, tipicamente con un diametro minore del millimetro, e pertanto dipende da altre modalità di immagini, necessarie a determinare l’area di interesse. L’acquisizione delle immagini e la loro interpretazione sono impegnative e richiedono particolari competenze. Sono necessari ulteriori studi per chiarire l’utilità clinica, i costi e l’efficacia di un suo utilizzo come strumento decisionale durante l’endoscopia. In definitiva i costi, la complessità di utilizzo e la durata hanno sconsigliato questa metodica, validamente sostituita dall’esame isto-patologico. Solo in pochi centri e per motivi di ricerca e di raffronto con l’istologia tradizionale, si utilizza la sonda, cioè il sistema pCLE, utilizzabile con un normale strumento endoscopico.

Conclusioni

In questo escursus ho analizzato le più importanti tecniche avanzate di immagini endoscopiche, per la rilevazione di lesioni displastiche e neoplastiche. L’obiettivo primario, nell’utilizzo di queste tecniche, è l’identificazione delle lesioni neoplastiche ad uno stadio precoce e quindi ancora curabile. L’innovazione più importante, a questo proposito, è rappresentata dal significativo aumento della risoluzione delle immagini, avvenuta attraverso lo sviluppo dell’endoscopia ad alta risoluzione e dalla cromoendoscopia elettronica (NBI).
Classificazione del pit pattern secondo Kudo e raffronto tra visione schematica, visione endoscopica e visione isto-patologica al microscopio (per concessione di medicitalia.it)
Queste due tecniche abbinate rappresentano lo strumento di base per il raggiungimento di questo obiettivo. Per quanto riguarda l’identificazione del carcinoma intestinale, la tecnica che generalmente meglio assolve a questo scopo è la NBI. L’utilizzo delle innovative tecniche endoscopiche descritte ha due diversi obbiettivi: (1) l’individuazione primaria delle lesioni e (2) l’ispezione mirata e dettagliata di queste lesioni, dopo la loro individuazione primaria. Per l’individuazione primaria di lesioni neoplastiche precoci, fino ad oggi, nessun tipo di cromoendoscopia ha mantenuto la sua promessa di migliorare l’individuazione di neoplasia precoce, molto probabilmente a causa della forte dipendenza dall’operatore di queste tecniche. Dopo l’individuazione primaria, segue l’ispezione dettagliata delle lesioni sospette, al fine di migliorare l’accuratezza e prendere direttamente decisioni durante l’esame endoscopico. A questo riguardo, la tecnica della CLE sembra promettere bene, ma la sua reale utilità clinica dovrà essere ulteriormente analizzata, considerando i costi, la complessità della procedura, la soggettività interpretativa ed il fatto che è facilmente sostituibile dal prelievo bioptico. I futuri sistemi d’immagini endoscopiche probabilmente integreranno, in uno stesso sistema, più modalità, sia per l’individuazione primaria delle lesioni, che per l’ispezione più dettagliata di queste lesioni.

Il Prof. Antonio Iannetti parla di “Tumore del Colon” ospite al programma Che Impresa – NSL Canale TV 88

Prof. Antonio Iannetti: “Endoscopic classification of superficial neoplastic intestinal lesions” –

International Conference on Liver Diseases & Hepathology – Tokyo, Japan – 2-3 Dicembre , 2019 

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