Trapianto di Fegato

Il trapianto di fegato è quell’intervento chirurgico che permette la sostituzione dell’organo malato con un organo sano, che può essere prelevato da un cadavere (cioè da un soggetto in stato di morte cerebrale) o da un vivente.
Le fasi del trapianto sono:
- L’espianto dell’organo dal cadavere o resezione epatica destra dal vivente
- l’epatectomia cioè la rimozione del fegato dal soggetto malato
- il confezionamento delle anastomosi, cioè unire mediante suture i vasi (sanguigni e biliari) del fegato del donatore e quelli del ricevente
- la rivascolarizzazione del fegato trapiantato
- la sutura tra la via biliare del fegato trapiantato e quella del ricevente.
All’uscita dalla sala operatoria il paziente avrà il sondino naso-gastrico per drenare le secrezioni gastriche, drenaggi in silicone che fuoriescono dall’addome per drenare il sangue residuo dell’intervento, il drenaggio biliare (tubo di Kehr) per proteggere l’anastomosi biliare e gli accessi venosi e/o arteriosi per il successivo monitoraggio e la somministrazione di terapie.
Nel caso del sanguinamento può essere necessario lasciare alcuni telini dentro l’addome per comprimere le zone sanguinanti e dopo 24-48 ore è necessario un nuovo intervento per rimuoverli e verificare l’emostasi.
Altra complicanza si verifica in caso di importante aumento della pressione del circolo portale, con conseguente edema dell’intestino, così da rendere impossibile l’anastomosi biliare e la chiusura definitiva della ferita chirurgica. Anche in questo caso dunque, dopo circa 48 ore, si procederà al re-intervento.
Il trapianto da vivente, cioè utilizzando una parte di fegato di un donatore sano e vivente, è una tecnica di ancora maggiore complessità, da utilizzare quando il paziente, per motivi clinici, non può aspettare che si renda disponibile un organo da cadavere. Dal punto di vista chirurgico, il trapianto di fegato da donatore vivente nell’adulto consiste nel prelevare la parte destra del fegato del donatore e trapiantarla nel ricevente, dopo aver asportato l’organo malato del ricevente. Il fegato può essere diviso in due parti, perché ciascuno dei due lobi ha una propria vascolarizzazione arteriosa e venosa e drena la bile attraverso due dotti principali, destro e sinistro, che si uniscono solo nel loro ultimo tratto, nel coledoco, al di fuori del fegato. Il fegato ha la capacità di rigenerarsi e dopo 3-4 settimane dall’intervento chirurgico ritorna alle dimensioni normali pre-trapianto sia nel donatore che nel ricevente. Due équipe chirurgiche eseguono contemporaneamente gli interventi, che durano circa 8 ore per il donatore e 10 ore per il ricevente. Il tempo di ospedalizzazione del donatore dopo l’intervento in genere è di 5-7 giorni, salvo complicazioni. Dopo la prima notte in Terapia Intensiva, il donatore, in seconda giornata post-operatoria, va nel reparto di Degenza, dove inizia la terapia riabilitativa. Per solito non necessita trasfusione di sangue. Potrà tornare a condurre una vita normale dopo 4-6 settimane. Il rischio di mortalità per il donatore è stimato fra lo 0,5 e l’1 per cento.
Il trapianto di fegato da donatore vivente è stato introdotto come procedura chirurgica nel 1988 per il trapianto pediatrico; negli anni successivi la procedura è evoluta e si è passati all’esecuzione della stessa procedura negli adulti. La finalità è quella di ovviare alla scarsità delle donazioni, in particolare in quelle situazioni in cui il trapianto è necessario in tempi rapidi.
L’attività di trapianto di fegato da vivente è prevista dalla legge n° 483 del 16/12/1999.
Il paziente candidato a ricevere il trapianto di fegato da vivente è iscritto nella lista di attesa del Centro di riferimento. Non ci sono differenze di indicazione al trapianto rispetto agli altri malati, se non che il tempo in lista di attesa è notevolmente ridotto. Il ricevente ed i candidati alla donazione vengono informati dei rischi di tale procedura. Nel caso in cui ci sia un possibile candidato donatore e vi sia l’accordo del paziente ricevente, la decisione di procedere con tale tecnica viene valutata dalla commissione multidisciplinare dell’equipe trapiantologica.
Se vi è compatibilità biologica, psicologica e corrispondenza morfo-funzionale, si procederà all’intervento di epatectomia a scopo di trapianto. Si procede alla resezione epatica destra per via laparotomica del donatore con asportazione di circa il 60% della massa epatica; la percentuale di fegato rimanente è sufficiente ad una adeguata funzione epatica. Le complicanze post-chirurgiche dell’espianto possono essere complicanze biliari (fistole), emorragiche, che possono comportare il re-intervento, infettive a livello locale e generale, di transitoria insufficienza epatica, di laparocele ed hanno un’incidenza di circa il 10%. Le complicanze legate all’anestesia sono le stesse della chirurgia generale e nel post-intervento è possibile che si rendano necessarie manovre interventistiche quali punture percutanee, arteriografia e biopsie.
Le rimanenti fasi dell’impianto sono le stesse del trapianto da cadavere e presentano difficoltà e rischi specifici, rappresentati in particolare dal sanguinamento (soprattutto nella prima fase) e da complicanze cardio-respiratorie, che si verificano soprattutto nella terza fase.
Il sanguinamento rende spesso necessaria la trasfusione di sangue, pregiudicando, nei casi più gravi, la possibilità di effettuare il trapianto.

I pazienti più a rischio sono quelli con gravi alterazioni della coagulazione, quelli con un quadro di alta pressione nel circolo portale e quelli che hanno già subito interventi chirurgici addominali in passato.
Una volta rivascolarizzato, il fegato riprende immediatamente a funzionare in modo graduale riportando la coagulazione ematica alla normalità e riducendo la pressione nel circolo portale. La piena ripresa funzionale avviene in un tempo estremamente variabile e dipende dalle condizioni cliniche del ricevente e dalle caratteristiche dell’organo trapiantato.Successivamente si effettuano le suture tra la via biliare del donatore e quella del ricevente. Queste vengono protette da un drenaggio inserito dentro la via biliare che fuoriesce all’esterno: il tubo di Kehr. Esso porta all’esterno la bile, per proteggere la sutura appena confezionata e per controllare la bile prodotta.
Nei casi in cui non è possibile l’anastomosi tra la via biliare del ricevente e quella dell’organo trapiantato, si effettua una sutura tra la via biliare del donatore e l’intestino del ricevente (anastomosi bilio-digestiva): anche in questo caso si posiziona un drenaggio biliare di protezione.
Indicazioni al trapianto epatico
1) Malattie croniche evolutive di fegato, come la cirrosi epatica di qualsiasi genesi, che limitino la sopravvivenza del paziente. Questa è l’evenienza più frequente.
2) Insufficienza epatica acuta o epatite fulminante. È una malattia acuta che insorge per cause diverse su fegato in precedenza sano. La malattia può provocare la morte del paziente nell’arco di pochi giorni o settimane o guarire completamente. È molto difficile prevedere con certezza quali malati potranno guarire spontaneamente e quando invece il trapianto deve essere eseguito con urgenza.
3) Malattie metaboliche del fegato. In alcune malattie rare, riguardanti per lo più pazienti in età pediatrica, il fegato è sede di un difetto ereditario del metabolismo che causa danno agli altri organi. È il caso delle tesaurismosi. Il trapianto di fegato permette di correggere il difetto e arrestare la malattia.
In sintesi le indicazioni più comuni al trapianto epatico negli adulti sono quelle della prima condizione, comprendendo la cirrosi epatica, soprattutto da infezioni virali quali l’epatite C e B e la cirrosi alcolica; meno frequenti la cirrosi biliare primitiva, la colangite sclerosante e le epatiti autoimmuni.
Un’altra indicazione al trapianto è l’epatocarcinoma non resecabile, ottenendosi con l’epato-trapianto il trattamento radicale della massa neoplastica e la rimozione del fegato cirrotico.
L’inserimento in lista d’attesa per il trapianto di fegato è limitato dalla scarsa quantità di donatori e dall’elevato rischio di recidiva del tumore dopo il trapianto. I criteri di selezione nei pazienti con epatocarcinoma sono molto selettivi e sono: a) tumore singolo HCC < 5 cm o fino a tre noduli con dimensioni < 3 cm per ciascun nodulo b) assenza di metastasi al di fuori del fegato c) assenza di invasione vascolare.
Prima del trapianto possono essere utilizzate altre tecniche per il trattamento del tumore in attesa del trapianto stesso: Alcolizzazione, chemio-embolizzazione del nodulo carcinomatoso.
Controindicazioni al trapianto epatico
Quelle assolute sono:
- malattia epatica grave con compromissione multi-organo
- AIDS
- Altre neoplasie non epatiche
- Cardiopatie o pneumopatie severe
Controindicazioni relative:
- età superiore ai 60-65 anni
- gravi disturbi psichiatrici
- trombosi dell’asse spleno-mesenterico-portale
- ipertensione polmonare.
In Italia il trapianto è regolato dalla legge n. 91 del 1 aprile 1999 e da un decreto del Ministero della Sanità, dell’8 aprile 2000, che prevede anche una lista d’attesa nazionale dei trapianti e la regola del silenzio-assenso del donatore.

